C’è una voce nel vento che riecheggia dal passato. Una voce che sussurra vendetta, onore, sangue. Una voce che pronuncia un nome che per molti è diventato leggenda: Jubei. Se chiudete gli occhi e vi concentrate, potete quasi vederlo.
Un Giappone feudale divorato dalle fiamme, un villaggio devastato da una furia disumana, una pioggia battente che non spegne il dolore, ma lo amplifica, mescolando lacrime e cenere. È qui, in questo affresco di disperazione e determinazione, che ha inizio Onimusha 2: Samurai’s Destiny.
E oggi, noi di Top Games Italia non vogliamo solo recensirlo. Vogliamo portarvi dentro a quella leggenda.
Questo non è un semplice articolo. È un viaggio nella memoria, un pellegrinaggio videoludico verso uno dei capitoli più ambiziosi, più sottovalutati e, senza timore di smentita, più potenti dell’intera epopea PlayStation 2.
È un omaggio a un titolo che, nel lontano 2002, ha osato fondere l’azione più pura con l’eleganza della lama, l’occulto con la tradizione, il folklore giapponese con un racconto epico di proporzioni shakespeariane.
Siamo qui per restituire a Onimusha 2 il posto che merita nella storia dei videogiochi, analizzandone ogni singolo aspetto: dalla sua narrativa matura al suo gameplay profondo, dal suo innovativo sistema di relazioni sociali alla sua direzione artistica senza tempo. Preparate la vostra katana, perché il cammino del demone attende.
Una Storia di Vendetta e Rivelazione nella recensione di Onimusha 2
La narrazione di Onimusha 2 si apre come una tragedia classica, un dramma Nō messo in scena su un palcoscenico digitale. Il nostro protagonista, Jubei Yagyu, non è un eroe qualunque.
Samurai errante e discendente del celebre clan Yagyu, storicamente tra i più rinomati maestri di spada del Giappone, torna al proprio villaggio natale, Yagyu no Sato, solo per trovarlo raso al suolo. Non è un attacco di banditi, né una scaramuccia tra signori della guerra. È l’opera di un male antico e implacabile: Nobunaga Oda.
Il Signore dei Demoni, già antagonista del primo capitolo, Onimusha: Warlords, qui estende la sua ombra malvagia su tutto il Giappone.
Il suo esercito di Genma, demoni grotteschi partoriti dagli incubi più profondi del folklore nipponico, marcia inarrestabile, lasciando dietro di sé solo morte e distruzione. L’attacco al villaggio di Jubei non è casuale; è un messaggio, una dimostrazione di potere assoluto.

Jubei non è il solito protagonista samurai arrabbiato
Ciò che distingue Jubei da molti protagonisti del suo tempo è la sua caratterizzazione. Modellato sulle fattezze del leggendario attore giapponese Yusaku Matsuda, Jubei non ha il volto dell’eroe impulsivo e urlante.
È un personaggio silenzioso, contemplativo, la cui presenza scenica è carica di una gravitas quasi tangibile. I suoi occhi portano il peso della perdita, ma anche la fredda determinazione di chi ha accettato il proprio destino. Il suo viaggio inizia come una classica ricerca di vendetta, ma ben presto si trasforma in qualcosa di molto più profondo.
Il punto di svolta arriva con una rivelazione sconvolgente: sua madre, Takajo, una donna avvolta nel mistero, gli svela una verità che cambia ogni prospettiva. Il sangue di Jubei non è puramente umano.
In lui scorre il potere degli Oni, le antiche e potenti divinità-demoniache, nemesi naturali dei Genma. Jubei è un mezzosangue, un ponte tra due mondi, e il guanto Oni che ottiene non è un semplice artefatto, ma la chiave per risvegliare il suo potenziale latente.

La trama di Onimusha 2 Remastered raggiunge vette altissime
È qui che Onimusha 2 eleva la sua trama. Quella che poteva essere una semplice storia di “guerriero contro il male” si trasforma in un racconto intimo di scoperta di sé, un’esplorazione del concetto di identità e di eredità.
Jubei non combatte più solo per vendicare il suo clan, ma per comprendere chi è veramente. Non è più solo un samurai. È l’erede di un potere superiore, un argine contro l’oscurità.
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🔔 Iscriviti al canaleLa sceneggiatura di Capcom, pur con i limiti del doppiaggio occidentale dell’epoca, riesce a tessere una trama avvincente, popolata da personaggi secondari memorabili, ognuno con un proprio arco narrativo che si intreccia magistralmente con la missione di Jubei.
La storia del Giappone feudale viene reinterpretata in chiave fantasy con un rispetto e un’eleganza rari, creando un mondo che è al tempo stesso familiare e meravigliosamente alieno.
Il Cuore di un Guerriero e L’Arte della Spada Demoniaca
Se la storia è l’anima di Onimusha 2, il gameplay è il suo cuore pulsante. Capcom, forte dell’esperienza del primo capitolo e del DNA della serie Resident Evil, perfeziona la formula creando un sistema di combattimento che è un capolavoro di equilibrio tra azione, strategia e tempismo. Non è un hack ‘n’ slash caotico; è una danza mortale dove ogni fendente, ogni schivata e ogni parata contano.
Il Combattimento: Precisione e Istinto
Il sistema di controllo, pur mantenendo l’impostazione “tank” tipica dell’epoca con telecamere fisse, risulta sorprendentemente reattivo e funzionale. Il combattimento è basato su pochi, fondamentali pilastri: l’attacco, la difesa e, soprattutto, l’arte del contrattacco.
La meccanica più gratificante e iconica è senza dubbio l’Issen (o “colpo critico”). Eseguendo una parata o un attacco con un tempismo perfetto, un istante prima di essere colpiti, Jubei può sconfiggere la maggior parte dei nemici con un singolo, fulmineo colpo. Padroneggiare l’Issen non è solo una questione di abilità: è una filosofia di gioco.
Trasforma il giocatore da un semplice aggressore a un maestro di spada che attende, osserva e colpisce con precisione chirurgica, venendo ricompensato con una pioggia di anime bonus.

Un Arsenale Divino: Le Armi Elementali
L’arsenale di Jubei è una delle colonne portanti del gioco. Ogni arma non è solo uno strumento di morte, ma un’estensione del suo potere Oni, dotata di un elemento e di uno stile di combattimento unico.
Buraitou (Spada del Fulmine): La katana iniziale, veloce e versatile. La sua magia scatena potenti attacchi elettrici, ideali per colpire bersagli singoli con rapidità.
Hyoujin-Yari (Lancia del Ghiaccio): Un’arma a lunga gittata che permette di tenere i nemici a distanza. La sua magia congela gli avversari, offrendo preziose finestre tattiche per riposizionarsi o curarsi.
Senpumaru (Bastone del Vento): Un’arma doppia, rapidissima e perfetta per il controllo della folla. I suoi attacchi rotanti e la sua magia, che crea un tornado, sono devastanti contro gruppi di nemici.
Dokoutsui (Martello della Terra): Lento ma incredibilmente potente. Ogni colpo ha un impatto devastante, in grado di spezzare le difese dei nemici più corazzati. La sua magia provoca un terremoto che danneggia chiunque si trovi nelle vicinanze.
A queste si aggiunge la leggendaria Rekka-Ken, uno spadone infuocato che si ottiene solo superando le ardue sfide del Regno Fantasma (Phantom Realm). Non è un’arma che si trova: si merita, e brandirla è il simbolo del raggiungimento della maestria assoluta.
Il Potere dell’Oni: Ascesa alla Divinità Guerriera
Il culmine emotivo e ludico di ogni battaglia è la trasformazione in Onimusha. Raccogliendo cinque anime viola (e non sei, come erroneamente si ricorda a volte), Jubei può scatenare il suo potere interiore, trasfigurandosi in una divinità della guerra invincibile per un breve periodo.

In questa forma, il tempo sembra rallentare, ogni colpo è devastante e la salute si rigenera. Non è un “cheat code”, ma una risorsa strategica da usare nei momenti più critici, contro i boss più ostici o quando si è sopraffatti. La sensazione di onnipotenza controllata che ne deriva è semplicemente esaltante.
La Raccolta delle Anime: Il Ciclo della Crescita
Come nel predecessore, sconfiggere i Genma permette di assorbire le loro anime con il Guanto Oni. Questo sistema di progressione è semplice ma incredibilmente efficace:
Anime Rosse: La “valuta” del gioco, usata per potenziare armi, armature e oggetti magici.
Anime Gialle: Ricaricano la salute di Jubei.
Anime Blu: Ricaricano l’energia magica necessaria per gli attacchi speciali delle armi.
Anime Viola: Riempiono la barra della trasformazione in Onimusha.
Questo ciclo di combattimento, raccolta e potenziamento crea un loop di gameplay avvincente, che spinge il giocatore a combattere non solo per sopravvivere, ma per diventare più forte, per dominare e, infine, per ascendere.
Il Legame che Unisce: L’Innovativo Sistema di Relazioni
Qui arriviamo a quello che, probabilmente, è l’aspetto più geniale, innovativo e ingiustamente sottovalutato di Onimusha 2: il sistema di relazioni con i personaggi secondari. Durante la sua avventura, Jubei si stabilisce nella cittadina di Imasho, un hub centrale dove incontra quattro potenziali alleati, ognuno con la propria storia e le proprie motivazioni:
Ekei Ankokuji: Un monaco guerriero specializzato nella lancia, amante del sakè e delle donne, la cui spavalderia nasconde un passato tragico.
Magoichi Saiga: Il leader stoico e pragmatico di un clan di mercenari armati di fucile, guidato da un ferreo codice d’onore.
Kotaro Fuma: Un giovane e agile ninja in cerca di vendetta, silenzioso e letale.
Oyu di Odani: Una misteriosa e nobile guerriera, la cui eleganza in battaglia è pari solo alla sua determinazione.

A differenza di altri giochi, stringere un’alleanza con loro non è automatico. Bisogna guadagnarsi la loro fiducia. Questo avviene attraverso un sistema di scambio di doni. In giro per il mondo di gioco si trovano decine di oggetti, apparentemente inutili, che possono essere regalati ai personaggi.
Ogni personaggio ha gusti e preferenze specifiche: Ekei apprezzerà alcolici e libri per adulti, Oyu oggetti raffinati come tessuti e specchi, Magoichi testi di strategia e oggetti europei, Kotaro coltelli e storie di ninja.
Un sistema di gioco impeccabile per una remastered pulita
La bellezza di questo sistema sta nella sua sottigliezza. Non esistono barre dell’amicizia, indicatori visivi o menù dedicati. La forza del legame si percepisce dalle reazioni dei personaggi, dai dialoghi che cambiano, dalla loro volontà di condividere informazioni preziose o, addirittura, di unirsi a Jubei in sezioni specifiche della trama, diventando per brevi tratti personaggi giocabili.
Questa meccanica, antesignana dei moderni “social link” visti in serie come Persona, non è un semplice orpello. Ha un impatto diretto e profondo sulla storia e sulla rigiocabilità. A seconda di chi diventerà il nostro più stretto alleato, si sbloccheranno cutscene alternative, si accederà a percorsi e oggetti esclusivi e si assisterà a un finale leggermente diverso.
Questa scelta organica rende ogni partita potenzialmente unica, invitando il giocatore a esplorare tutte le possibili ramificazioni narrative. È una testimonianza di un game design coraggioso e visionario, molto più avanti del suo tempo.
Un Mondo da Osservare: Direzione Artistica Immortale
Ancora oggi, a distanza di decenni, la direzione artistica di Onimusha 2 è straordinaria. Come in Resident Evil, Capcom utilizzò la tecnica dei fondali pre-renderizzati, ma portandola a un livello di dettaglio e bellezza mozzafiato. Ogni schermata è una vera e propria opera d’arte digitale, un dipinto che mescola con maestria fedeltà storica e suggestioni fantasy.
Non stiamo esplorando un Giappone realistico, ma un Giappone mitico, filtrato attraverso la lente del cinema di Akira Kurosawa, dell’iconografia dei samurai e dei racconti yokai del folklore.

I villaggi hanno un’atmosfera viva e pulsante: la pioggia che batte sui tetti di paglia, le pozzanghere che riflettono le luci tremolanti delle lanterne, il vento che muove le tende delle locande. Ogni ambiente, dal mercato brulicante di Imasho al maestoso e dorato Castello di Gifu, fino agli infernali reami dei Genma, possiede un’anima, un’identità visiva fortissima.
La regia è squisitamente cinematografica. Le inquadrature fisse non sono un limite, ma uno strumento per guidare lo sguardo del giocatore, per creare tensione, per svelare panorami mozzafiato o per incorniciare un duello come se fosse la scena di un film.
Ogni angolo è scelto con cura, ogni dettaglio è pensato per contribuire all’atmosfera. Le armature scintillanti, il design delle armi, le animazioni fluide di Jubei: tutto concorre a creare un’esperienza visiva potente e immersiva.
L’uso del volto di un attore reale, una pratica che Capcom aveva già sperimentato con successo nel primo capitolo, conferisce a Jubei una fisicità e una credibilità che lo rendono ancora più iconico.
Suoni di un’Epoca: Tra Melodie Feudali e Rock Demonico
Il comparto audio di Onimusha 2 è un altro elemento cruciale nella costruzione della sua identità unica. La colonna sonora, composta da Taro Iwashiro, è un magnifico connubio di brani orchestrali solenni e struggenti, che evocano la grandezza e la malinconia del Giappone feudale, e tracce cariche di tensione e adrenalina, perfette per accompagnare i combattimenti più feroci.
E poi c’è lei. La famigerata, iconica, surreale sequenza di apertura. Vedere Tomoyasu Hotei, leggendario chitarrista giapponese (autore del celebre brano “Battle Without Honor or Humanity” di Kill Bill), suonare un assolo di chitarra elettrica su una torre di un castello in rovina mentre i demoni attaccano è un’esperienza che spiazza. Una scelta quasi kitsch, un’esplosione visiva e musicale anacronistica che, però, resta impressa a fuoco nella memoria di chiunque l’abbia vissuta.
È il simbolo di un’era videoludica più audace, meno omologata, capace di scelte artistiche tanto bizzarre quanto indimenticabili.
Gli effetti sonori sono curati nei minimi dettagli: il rumore sordo della pioggia, il fruscio dei passi sulla ghiaia, il clangore metallico delle lame che si scontrano, i versi gutturali dei Genma. Tutto è studiato per immergere il giocatore in un mondo credibile e tangibile.
L’unica, vera nota dolente, una ferita che per molti fan brucia ancora oggi, è il doppiaggio inglese. Realizzato con una piattezza disarmante, privo di quella carica emotiva che la storia richiederebbe, spesso suona impersonale e fuori luogo. La decisione di rimuovere completamente la traccia audio giapponese originale nelle versioni occidentali fu una scelta scellerata, che privò il gioco di una parte fondamentale della sua atmosfera.
Profondità Nascosta e Rigiocabilità Infinita
Sotto la sua splendida scorza da action game, Onimusha 2 nasconde una filosofia più profonda. È un gioco che parla di identità, di eredità, di responsabilità. Jubei non è il classico eroe senza macchia che vuole salvare il mondo. La sua è una missione personale, quasi egoistica all’inizio. Vuole risposte, vuole vendetta. Ma nel corso del suo viaggio, si ritrova a incarnare, suo malgrado, il ruolo di un simbolo, di un sacrificio necessario per proteggere gli innocenti.

Temi universali come la perdita, la redenzione e la ricerca di sé stessi vengono filtrati attraverso l’estetica e la cultura di un Giappone che è al tempo stesso storico e mitico. Capcom non si limita a sfruttare un’ambientazione esotica; la studia, la rispetta e la integra con un’eleganza che ha pochi eguali.
Ma la profondità si estende anche al lato ludico. Oltre alla già citata rigiocabilità garantita dal sistema di relazioni, Onimusha 2 è ricco di contenuti secondari. Il Regno Fantasma (Phantom Realm) è una sfida opzionale composta da una serie di arene a difficoltà crescente, la cui conclusione premia il giocatore con oggetti potentissimi, tra cui la leggendaria Rekka-Ken. Esistono inoltre diversi minigiochi sbloccabili, come “Man in Black”, “Team Oni” e il “Puzzle Phantom Realm”, che offrono piacevoli diversivi e prolungano ulteriormente la longevità di un titolo già di per sé molto ricco.
Il Verdetto: Un Capolavoro che il Tempo Non Può Scalfire
Onimusha 2: Samurai’s Destiny non è semplicemente un videogioco. È un’opera d’arte. Il punto più alto di una saga che, purtroppo, ha avuto un destino crudele, finendo per perdersi nei meandri della storia videoludica. Un titolo che ha osato mescolare generi, emozioni e linguaggi, anticipando meccaniche che oggi consideriamo moderne. Ha creato un mondo vivo, complesso, magnetico, sorretto da un gameplay rifinito alla perfezione e da una direzione artistica che ancora oggi lascia senza fiato.
Non è perfetto, certo. I controlli tank possono risultare ostici per i neofiti e il doppiaggio inglese è un difetto oggettivo. Ma questi sono piccoli nei su un corpo altrimenti magnifico. Rigiocarlo oggi, o scoprirlo per la prima volta, significa fare un tuffo in un’epoca in cui i giochi avevano un’anima diversa, un coraggio e un’ambizione che spesso oggi si faticano a ritrovare.
Il voto che gli assegniamo non è solo un numero, ma il riconoscimento del suo valore storico e della sua intramontabile qualità. E se da qualche parte, nei corridoi di Capcom, qualcuno sta pensando a un ritorno in grande stile, magari con un remake sulla scia di quelli di Resident Evil, noi siamo qui. Pronti ad affilare di nuovo la nostra lama. Jubei non ha mai detto addio. Ha solo atteso, nell’ombra, il momento giusto per tornare confermando l’8.5 che un tempo segnò già questo titolo.
Il Viaggio Continua: Oltre la Lama del Samurai
E così, la lama di Jubei Yagyu torna nel suo fodero. Il nostro viaggio nel Giappone demoniaco di Capcom giunge al termine, ma la nostra missione, la nostra passione per i videogiochi, è tutt’altro che conclusa.
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